C'è un luogo che è un non luogo, poiché è dentro, e quel dentro si ribalta nel fuori, ed entrambi svaniscono, dove la tua vita non è più influenzata da Salvini, Renzi, Speranza, Berlusconi, Trump, Biden, virus, i rettiliani, le cavallette, notizie che si rincorrono e ti soverchiano, e aggiungete a piacere burattini vari, veri o presunti, e scenografie variopinte. Anzi, imparando a sostarvi, in quel luogo che è un niente, ti rendi conto che era folle, totalmente folle ritenere che la vita fosse condizionata da chicchessia o da qualche evento. O che dovesse essere frenetica. Solo lì sei libero, lo sei sempre stato, solo lì puoi essere di aiuto, agire dalla compassione, mai come professionista del "bene". In ogni altra posizione, l'unico problema sei tu, ti sembra di aiutare prendendo parte, parteggiando, ma in realtà stai creando drammi dall'inizio, scaraventato a destra e a manca da opinioni, odi, antipatie, preferenze, desideri. Davi per scontato di essere qualcuno, un individuo, che anche gli altri lo fossero, non ti chiedevi che cos'è tutto, da dove appare, come si mantiene in essere mutando ad libitum, chi ne è cosciente. Al massimo delegavi alla "scienza", o a qualche maestro. Non vedevi l'assurdità di volergli dare tu uno scopo, e così eri cieco di fronte alla sua bellezza che stordisce, tremenda, sempre nuova. Non ti chiedevi perché desideri, cosa devi riempire che ti sembra vuoto. Ma ora sei stanco. Desisti. Muori adesso, sul crocifisso, non rimandare e non temere. Togliti dalla scena, accetta tutto ciò che è come è, anche le tue emozioni e paure, lascia che sia nella sua perfezione di nulla. Scomparso il lamento, ogni cosa è luce. Vedrai il tuo corpo fare la cosa giusta, che è sempre la più semplice, ordinaria, non reclama riconoscenza o attenzione, né forza sovrumana, anche se potrebbe richiedere, in casi estremi, il sacrificio del corpo stesso. Abbandonerai il peso della sua presunta responsabilità. Ogni tua sofferenza sarà trasfigurata, come sulla Croce. Ti stupirai di come diverrai capace persino dell'atto etico, come lo chiamava Minkowski, indicato nel Vangelo come la più sublime delle azioni: dare la vita per i propri amici. Accoccolati in te, prendi rifugio nella Madre. Poiché sei amato, in modo indescrivibile e proprio così come sei, accadrà comunque.
1987, la mia tesi di laurea in filosofia su Peirce, "La dimensione proairetica della semiosi", era pronta dopo un anno di lavoro, ma c'era poco tempo per presentarla e non perdere la sessione autunnale. Telefonai a Umberto Eco, il mio relatore, il quale concordò sui tempi e per velocizzare la procedura mi invitò a portargliela nella sua casa di vacanza di Monte Cerignone, provincia di Pesaro e Urbino, dove stava trascorrendo qualche giorno. Partii con la Dyane 6 cv, emozionato e lusingato. Tutto andò bene e consegnai la tesi in tempo. Ricordo la splendida dimora di Eco, un ex convento. Rimasi da lui un intero pomeriggio, mi fece vedere gli elementi scenici di cartapesta che il regista de "Il nome della rosa", Jean Jacques Annaud, gli aveva appena regalato - il leggio su cui padre Jorge legge la Poetica di Aristotele, e altre cose. Notai un pc portatile, o meglio trasportabile, che la Olivetti, mi spiegò, gli aveva dato da testare, un prototipo, su cui stava scrivendo il secondo romanzo. Discutendo alcuni particolari della tesi, e di fronte alle mie perplessità, ricordo che mi tranquillizzò dicendo: "Non c'è nessun complotto". Scoprii più tardi che stava lavorando al Pendolo di Foucault, chi lo ha letto capisce il riferimento. Era gentile e paziente con gli studenti, ho potuto testimoniarlo in molte occasioni, e anch'io ero rimasto folgorato dalla sua "libido docendi", unico appiglio nella terra desolata del dipartimento di filosofia di Bologna. Ciò che molti scambiano per ego smisurato era spesso una forma di difesa, sottilmente autoironica (solo l'ego crede di riconoscere l'ego negli altri, e entrambi gli ego sono falsi). In un'altra occasione, ero nel suo studio al Dams, ricordo che entrò una segretaria con una lettera di invito dell'allora rampante Canale 5, che lui cestinò prontamente imprecando e farfugliando qualcosa come "Ancora sti deficienti del biscione": più che intellettuale snob, come vogliono i suoi detrattori, fu profetico, forse avvertiva l'avvento di un ventennio di imbarbarimento dell'Italia per certi versi irreversibile. Conservo una sua lettera di presentazione per Paul Ricoeur a Parigi, presso il quale mi consigliava di continuare le mie ricerche accademiche sul senso dell'agire. Ma già allora, il mio voler essere coerente con me stesso mi portò presto, dopo la laurea, a seguire altre strade. Per me, capire Peirce portava dritti alla Bhagavad Gita, più che alla semiosi illimitata. Forse con superbia giovanile, ma proprio esaminando a fondo le sue fonti, trovavo Eco un grande studioso ma superficiale come filosofo. Oggi so che il contenuto di ciò che insegnano i maestri ha un'importanza secondaria, molto relativa, e che tutto si perde nell'agone della doxa. Restano piuttosto gli sguardi, la comprensione umana, i momenti condivisi, la tenerezza.
Lunedì sera, dopo la lezione di Yoga, alle 20,45 riprendono allo Yoga Studio gli incontri di meditazione, satsang.
La meditazione, nella tradizione del raja yoga di Patanjali, è detta "dhyana". Il termine di derivazione latina "meditazione" naturalmente non traduce il sanscrito "dhyana", da cui il cinese "chan" e il giapponese "zen". Dhyana è uno stato di coscienza che fiorisce quando il praticante è in grado di concentrarsi (o per meglio dire si lascia concentrare, dharana) per dodici secondi, e che a sua volta diviene samadhi se mantenuto per dodici volte dodici, ossia 144 secondi, quasi due minuti e mezzo. Nel samadhi scompare la distinzione fra soggetto che medita e oggetto della meditazione, scompare ogni senso di separazione, e si realizza lo scopo di tutte le discipline ascetiche. Sembra facile, solo due minuti e mezzo, e in essenza lo è, ma occorre riflettere bene. Il mio maestro diceva che è già un ottimo risultato essere VERAMENTE concentrati per una frazione di secondo. Non è questione di sforzo, ma di intensità, che è cosa del tutto diversa. Per trovare l'intensità necessaria per dharana, dhyana e samadhi è spesso necessario un lungo "tirocinio", un lavoro di autoanalisi e scavo per sfrondare il nucleo della coscienza da tutte le false identificazioni (neti neti, nella tradizione del Vedanta) e tenere la barra diritta. La pratica dello Yoga è questo, ogni altra interpretazione è un pallido surrogato. Tutte le tecniche, gli esercizi, prendono vita e significato in questo contesto. Dunque definirlo "corso di meditazione" è quanto meno improprio. Nella tradizione della mistica cristiana si preferisce usare la parola contemplazione, con qualche buon motivo, poiché in genere in italiano meditare viene inteso come pensare più intensamente, rafforzare la mente, il contrario del suo vero senso. Si può però salvare l'uso della parola meditazione facendo ricorso a Leopardi, che con "L'infinito" ha descritto lo stato di dhyana in modo sublime: e il naufragar m'è dolce in questo mare. Nello Zibaldone, in una nota del 5 settembre 1823, si disquisisce dell'etimologia della parola meditare, che Leopardi fa derivare dal latino medeor, da cui anche il termine medicare. Medeor significa infatti curare, medicare. Conclude Leopardi: «il meditare una cosa è una continuazione del semplice averne o pigliarne cura». L'intuizione è molto bella a prescindere dalla correttezza filologica. Meditare diventa così curare, medicare, prendersi cura del Sé. Non c'è tempo speso meglio. Ormai da molto tempo la pratica dello Yoga è comunemente assimilata alle tante attività proposte dall'industria del "fitness". Pochi, in percentuale, compresi gli insegnanti, cercano e scoprono le radici. E si accorgono che stanno introducendo nella loro vita rudimenti di un'antichissima (e profondissima) disciplina ascetica, per secoli (ma in fondo anche oggi) riservata ad aspiranti che si sottoponevano per molti anni, se non per tutta la vita, a rigidissime austerità, per realizzare il Sé. Quella realizzazione è la vera postura, asana.
Che disorientamento perciò quando il praticante viene informato di questo. "Ma come, io pensavo servisse per il mal di schiena... devo fare un po' di stretching perché vado in bicicletta... me l'ha consigliato il medico per le articolazioni... ecc. ecc.". Tutti questi sono effetti collaterali. Ma limitare ad essi la pratica ne svilisce infinitamente il significato. Per fare un esempio comprensibile, e naturalmente mutatis mutandis, sarebbe come scoprire che, per qualche motivo, le ostie per la Comunione fanno bene alla salute e cominciare quindi a mangiarle per questo scopo, isolandole dal contesto in cui vengono utilizzate - e consacrate. Le pratiche Yoga, costruite sui fondamenti di Yama e Niyama, con i pilastri di asana, pranayama, pratyahara ecc., fanno benissimo alla salute del corpo fisico e non solo, ma per proiettarne la consapevolezza oltre la limitata personalità che crediamo di essere. Se non si comprende questo, ci si nutre dell'ostia ma non si sta facendo la Comunione, senza nemmeno rendersi conto di ciò che si perde - che è l'essenziale. In ogni caso, il significato più profondo della pratica non deve inibire, o spaventare. Ciò accade perché la mente comincia a immaginare qualcosa di relativo alla "realizzazione del Sé", pescando nel deposito delle memorie, delle letture, delle opinioni, delle convinzioni pregresse. O, peggio, costruisce aspettative. Il bello dello Yoga autentico è invece che si impara ad eliminare tutte le idee, le conoscenze, le credenze, che non sono altro che avidya, ignoranza. In fondo non è per niente difficile. Mentre unisci il respiro al movimento, comincia ad osservarne il ritmo naturale, involontario, donato. Comincia da lì. Mentre tieni la posizione, comincia ad osservare quella tensione al polso non necessaria, che blocca la tua energia vitale, e come è facile eliminarla. Comincia da lì. Mentre sei di fronte alla tua goffaggine, o al tuo limite fisico, comincia ad accettare ciò che è, l'inevitabile, ed elimina ogni sofferenza. Comincia da lì. Mentre pratichi comincia a sentire quello spazio in cui non vedi più gli altri, non fai paragoni, non ti senti in competizione, non misuri. Comincia da lì. La realizzazione del Sé comincia da lì. Non è niente di esclusivo, non sarà mai qualcosa di cui fregiarsi. E anche la fine, in fondo, non è lontana. Era già lì prima che tu cominciassi. Chissà quanti teacher trainings, chissà quante ore Yoga Alliance RYT / RYS e soldi spesi in seminari per avere i famosi pezzi di carta! Ma ne è valsa la pena...
Un quarto d'ora di ascolto, piccola ancora di salvezza nei giorni in cui la follia collettiva imperversa. Sathyannasti paro dharma. Quest'anno negli incontri di satsang (il martedì alle 20,45) impariamo a meditare leggendo Dante. Se ci si libera dell'idea che sia un testo "letterario", la Divina Commedia è un manuale di meditazione proprio come la Bhagavad Gita, e descrive con precisione sorprendente i passaggi del percorso di conoscenza di sé che comporta la pratica meditativa, dalla "selva oscura" dell'inconsapevolezza e della vita automatica del dormiente, fino all'espansione e all'illuminazione del risvegliato. Attraverso l'inferno del subconscio, l'evasione dal limbo della scienza, l'affinamento della sensibilità e della percezione nel purgatorio, l'esperienza mistica del paradiso, anche oggi ci facciamo guidare da Virgilio (logos-buddhi) e da Beatrice (agape-ananda), raffigurata qui di lato nello splendido dipinto di Andrea Pierini che presenta la sua comparsa nel XXX del Purgatorio. Non utilizzeremo commenti critici, né interpretazioni fumosamente esoteriche, ma solo l'esperienza. Ripresi i corsi allo Yoga Studio, come ogni anno a volte non è semplice far sperimentare agli allievi che Yoga non è fitness (solo), non è rieducazione posturale (solo), non è stretching (solo), non è training autogeno, non è un'alternativa al tennis, alla zumba, allo spinning... Se lo si pratica così, diventa semplicemente ridicolo, è come possedere un lingotto d'oro senza vederne il valore e usarlo come fermacarte. Ma nella massificazione, nella logica del business, il volto ridicolo dello Yoga è una protezione, che ne preserva l'essenza "per voi ch'avete gl'intelletti sani". ... ci vuole il coraggio del silenzio. Il tuo denaro, nell'eternità, è fuori corso. Un'appendice moderna alla Bhagavad Gita da inserire nei programmi delle scuole elementari. Ecco una foto del tempio a 3600 metri di altitudine che scattai a Kedarnath. Secondo la terminologia di Gaudapada, maestro di Shankara, si tratta di vishwa o di taijasa? veglia o sogno? Il tempio sembra stagliarsi fra i due stati, sembra un attraversamento, uno "stargate". La pubblico qui perchè ognuno abbia un pensiero e porti il cuore per un attimo alla città di Shiva, e a coloro che lì hanno affrontato il trapasso.
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Dicembre 2020
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